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Training autogeno di gruppo: il racconto dell’esperienza diretta

Aggiornamento: 1 mar

Come il gruppo favorisce l’apprendimento delle tecniche di rilassamento che il paziente potrà applicare in modo autonomo anche dopo la conclusione del ciclo di sedute.



Dopo avere spiegato il training autogeno nella teoria, passo ora alla pratica raccontando l’esperienza di uno dei gruppi che ho seguito recentemente in questo percorso.

Il gruppo era composto da quattro persone,  tre donne e un uomo.


Le ragioni per cui avevano deciso di sottoporsi all’apprendimento del training autogeno erano diverse: stati di tensione, ansia, stress eccessivo e desiderio di avere strumenti per una più appropriata gestione delle proprie reazioni psicofisiche.


L’obiettivo del ciclo di sedute era mettere tutti i partecipanti nelle condizioni di gestire i livelli di stress riuscendo a ricreare in modo autonomo momenti di rilassamento e di profonda detensione psicocorporea.


Le sedute erano tenute una volta alla settimana con una durata di due ore ciascuna, applicando il metodo già descritto nel mio precedente articolo sul training autogeno.


La seduta di gruppo consente l’instaurarsi di una serie di dinamiche che possono avere risvolti molto positivi sull’apprendimento, cosa che è avvenuta anche in questo caso.


Fin dal primo incontro si è instaurata infatti una sorta di complicità tra i diversi partecipanti, derivante dal fatto che ognuno di loro percepiva di condividere con gli altri le medesime difficoltà di fondo, sentendosi meno solo nell’affrontarle. Allo stesso modo, col procedere del percorso, gli ostacoli incontrati venivano stemperati dallo spirito di condivisione e dal fatto di sentirsi parte integrante di una squadra di singoli individui che si allenavano insieme per conseguire lo stesso fine.


Il ciclo di sedute si è dimostrato inoltre un ottimo strumento di socializzazione e coinvolgimento attivo, consentendo ai partecipanti di vivere ogni incontro non tanto come una delle tante incombenze da assolvere, quanto come una piacevole parentesi nella routine quotidiana.


Queste dinamiche hanno certamente contribuito al risultato finale, che si è dimostrato molto positivo.


Ma ora lascerei la parola ai partecipanti stessi, di cui vi riporto alcune riflessioni in merito al percorso compiuto.


“La cosa più difficile nell’approccio col training autogeno è stata allontanare i pensieri di qualsiasi tipo e non sentire i nostri rumori esterni. A tal proposito, ho trovato molto utile la musica. All’inizio non è stato immediato e automatico poiché il mio corpo si ribellava all’idea di lasciarsi andare, ma poi, allenandolo giorno dopo giorno e acquisendo più conoscenza della tecnica, progressivamente ha cominciato a cambiare fino a diventare un metodo di rilassamento che posso praticare ovunque”.


“Il training autogeno mi è servito a mettere delle pause tra le mie azioni frenetiche… Le cose che ora faccio  durante l’arco della giornata sono le stesse, anzi forse di più, ma ho imparato a concedermi qualche minuto per non fare assolutamente nulla, come ad esempio leggere un giornale: leggerlo per davvero concentrandomi solo su quello e senza dover necessariamente pensare a cosa farò cinque minuti dopo. Questa cosa prima era impossibile, ero allenata al contrario…


Grazie al training autogeno ho ritrovato anche un’energia nuova, mi sento più attiva e forse ho lasciato anche qualche zavorra che inconsapevolmente mi portavo addosso…


Fare il training autogeno in gruppo credo valga molto di più che farlo soli perché l’energia e la sinergia che si crea all’interno del gruppo è molto più forte, infatti ho riscontrato una maggiore risposta in fase di training autogeno in gruppo rispetto a casa da sola”.


“La mia personale esperienza del training autogeno si potrebbe definire un viaggio… Un viaggio perché ti trasporta in una dimensione diversa che ti porta a rilassare corpo e mente. Un viaggio perché ti fa evadere dalla realtà. Insomma, un viaggio che certamente consiglierei a un amico”.

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